Alcuni tribunali si sono già espressi circa le impugnazioni dei provvedimenti di sospensione messi in atto dai datori di lavoro nei confronti di quei dipendenti che si sono rifiutati di sottostare alle vaccinazioni anti COVID.
Dinanzi al rifiuto di numerosi lavoratori di sottoporsi alle previste vaccinazioni anti-COVID, i datori di lavoro hanno dovuto prendere i necessari provvedimenti al fine di tutelare la produttività organizzativa. La condotta dei datori di lavoro è stata generalmente quella di sospendere la prestazione lavorativa (nonché dalla retribuzione) o di mettere in ferie i dipendenti. Nella maggior parte dei casi, tali provvedimenti sono stati impugnati dai dipendenti interessati, sottolineando come la vaccinazione, non essendo obbligatoria, non poteva comportare un nocumento di tal sorta sulla loro attività lavorativa. Di fronte a questi scenari, più volte è stata chiamata a schierarsi la giurisprudenza dei Tribunali di merito di tutta Italia.
Secondo il Tribunale di Modena, la sospensione del dipendente che si rifiuti di procedere in tal senso è stata ritenuta, nel caso di specie, assolutamente legittima.
Il Tar di Lecce è stato invece chiamato a giudicare la sospensione dall'esercizio della professione di una dottoressa che si era rifiutata di sottoporsi alla vaccinazione per COVID-19. Impugnata tale delibera dinanzi il TAR di Lecce, esso l'ha ritenuta legittima, soprattutto in considerazione del fatto che, prima di giungere a tale decisione, era stata valutata dai datori di lavoro la possibilità di ricollocazione della dipendente all'interno del luogo di lavoro.
Il Tribunale di Milano, la sospensione della lavoratrice senza retribuzione rappresenta una extrema ratio che giustifica il preciso onere del datore di lavoro di verificare l'esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative “astrattamente assegnabili al lavoratore atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall'altro, con la tutela della salubrità dell'ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da COVID-19”.