Il nuovo ruolo del creditore nella gestione della crisi
Il nuovo Codice della Crisi prevede che i creditori devono comportarsi secondo buona fede e collaborare con l'imprenditore nella ricerca della soluzione della crisi. Un cambiamento culturale che prevede un coinvolgimento attivo dei creditori a tutela del bene comune che rappresenta l'impresa nella collettività.

Già nei primissimi articoli del nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza è stata prevista una parte dedicata ai “Principi” quali riferimenti guida per tutti gli strumenti volti al superamento dello stato di crisi (Titolo I, Capo II), all'interno della quale sono state contemplate dal legislatore delle norme specifiche in tema di “obblighi generali” posti a carico dei soggetti che partecipano alla regolazione della crisi o dell'insolvenza, individuando in tal modo i valori da seguire in ossequio alle nuove disposizioni.
La collaborazione si pone come declinazione del principio generale di buona fede e correttezza, da intendersi come un atteggiamento rafforzativo rispetto alla semplice interpretazione di non porre in essere condotte lesive e di abuso del diritto in genere. In estrema sintesi, è possibile ritenere che il dovere di leale collaborazione imponga ai creditori:
- un obbligo omissivo, ovvero di astensione, nel senso di non tenere comportamenti volti a danneggiare l'esito delle trattive in essere;
- un obbligo fattivo, ovvero collaborativo con il debitore.
In relazione, poi, al fine di questa doverosa collaborazione in capo ai creditori, va segnalato che una precedente formulazione in bozza della norma in argomento espressamente chiariva che il dovere della leale collaborazione era volto al raggiungimento prioritario di una soluzione concordata della crisi. Detta finalità, invece, viene meno nella versione definitiva dell'art. 4 CCII.
Una riflessione ulteriore che si pone è poi quella relativa ai creditori professionali, ovvero alla particolare significatività che può assumere il dovere di leale collaborazione in funzione della natura del creditore, di alcuni in particolare.
Si pensi all'art. 1179 c.c. che nel disciplinare la “diligenza” nell'adempimento di un contratto, attribuisce livelli diversi di diligenza in relazione alla natura dell'attività esercitata, conferendo in tal modo un grado maggiore di impegno in capo ai creditori professionali, quali le banche e gli istituti di credito ad esempio. Per questi non può che ravvisarsi, in via interpretativa, un obbligo specifico di partecipazione alle trattative con un atteggiamento tempestivo e maggiormente collaborativo con il debitore, con gli organi della procedura, ma anche con gli altri creditori, fornendo in particolare la circolazione di quelle informazioni necessarie (e non riservate) volte ad agevolare una maggior comprensione della situazione ed una possibile soluzione dello stato di crisi in essere dell'imprenditore.
Appare del tutto evidente come la riforma di cui al CCII abbia elevato i creditori, da ritenersi non più solo come soggetti lesi e passivi delle procedure concorsuali, ma chiamati a collaborare con il debitore e con gli organi della procedura al fine di contenere al minimo il rischio di dispersione del valore dell'impresa in crisi, nel rispetto di una logica univoca di salvaguardia del bene comune che l'impresa rappresenta nella collettività, nella tutela ultima di tutti gli interessi sottesi e a vario titolo coinvolti.