Il lavoratore si infortuna? Il rischio elettivo salva il datore di lavoro
Il comportamento “abnorme, inopinabile ed esorbitante” del dipendente - c.d. “rischio elettivo” - è idoneo ad interrompere la correlazione tra la condotta del datore di lavoro e l’infortunio

Il datore di lavoro è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto a tal fine ogni mezzo preventivo idoneo, con l'unico limite del c.d. rischio elettivo, da intendersi come condotta personalissima del dipendente, intrapresa volontariamente e per motivazioni personali, al di fuori delle attività lavorative ed in modo da interrompere il legame tra prestazione e attività assicurata contro gli infortuni. Solo in tali ipotesi, ovvero quando ricorre il c.d. “rischio elettivo”, è configurabile un concorso colposo della vittima nell’infortunio.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione in un caso concreto dove veniva contestata la negligenza del lavoratore che non aveva indossato gli occhiali di protezione durante l'uso del martello. I giudici hanno negato un concorso colposo della vittima, ribadendo che, in caso di infortunio, la responsabilità del datore di lavoro può escludersi solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute (cd. rischio elettivo). Mentre non c’è colpa del lavoratore quando lo stesso non si sia attenuto alle cautele imposte dalle norme antinfortunistiche o alle direttive dei datori di lavoro, perché proprio il vigilare sul rispetto di tali norme da parte del lavoratore è l'obbligo cui il datore è tenuto, in quanto “il datore di lavoro ha il dovere di proteggere l'incolumità del lavoratore nonostante la sua imprudenza o negligenza” (Cass. 28 settembre 2021 n. 26274).